Mary

Mary ritorna a casa, si chiude la porta alle spalle ed appende la giacca bagnata all'attaccapanni. I suoi capelli piombi d'acqua lasciano cadere limpide gocce sul pavimento.
Sua madre è seduta sulla tavola della cucina, con una manica della maglia strappata via. Sangue coagulato sotto al naso e graffi e lividi e lacrime. Si porta giù la gonna all'altezza delle ginocchia, tenendo il capo nascosto.
I momenti tristi sono le migliori memorie se la tua vita è stata una merda.
Mary si siede a terra, in un angolo della cucina, abbracciandosi le gambe. Quasi come a proteggersi da un pericolo imminente. Ascolta i singhiozzi di sua madre che scandiscono la fuoriuscita delle lacrime, che una dopo l'altra formano rigagnoli tra quelle pallide guance vagamente colorite da lividi violacei. Volta la testa verso destra dirigendo lo sguardo oltre la porta, dall'altra parte della stanza. Là c'era quel bastardo di suo padre che camminava avanti e indietro. Era impaurita, consapevole di quello che era appena successo.
Il seme di suo padre scivolava, ancora caldo, tra le cosce di mamma. Domande come “Cos'è successo?” o “Perché piangi?” sarebbero state inutili. Mary aveva già visto troppe volte scene del genere. Se certe cose accadono una volta, possono diventare un abitudine.
Mentre mamma scende dalla tavola e scappa a testa china in bagno, le sue lacrime si affievoliscono. Mary la segue, entra in bagno, e chiude la porta a chiave. Poi si appoggia ad una parete ed il suo sguardo si perde nel vuoto.
«Come stai piccola?» Chiede la mamma a Mary, mentre si siede a gambe divaricate sul bidet.
«Io...Io sto bene» Risponde
«Non mentire» Dice mamma mentre apre il rubinetto ed aspetta che esca dell'acqua tiepida. «Bene è solamente una risposta di cortesia. Risposte più credibili sono: male, abbastanza bene o benissimo. Tu vuoi semplicemente farmi credere di stare bene.»
Immaginate vostra madre che si mette a dire cose come quelle in una situazione del genere.
«Bé, non mi va male. Di più. Sei contenta?» Controbatte Mary con voce irritata.
Mamma si toglie con un po' d'acqua quelle tracce di liquido biancastro dalle sue cosce. È piena di abrasioni e graffi da unghie, che le sue mani umide cercano di detergere delicatamente.
«Mi dispiace molto» Si porta dei suoi capelli biondi dietro l'orecchio, e volta lo sguardo verso Mary.
«Farti nascere è stato un errore, e ora sei tu a pagarne le conseguenze.»
Una madre normale non avrebbe mai detto una cosa del genere. Non dopo essere stata stuprata da suo marito. Non mentre si lava la vulva.
Ogni volta che mamma veniva violentata diventava un' altra persona. Tutto quello che era successo prima e durante non lo ricordava più, da quel momento ricominciava una nuova vita. Mary, invece, ricominciava a disperarsi. A disperasi per quella cazzo di situazione. Non era raro che pensasse che sua madre fosse una pazza, una che provasse piacere a farsi picchiare. Non era mai andata dalla polizia, mai una denuncia e mai una richiesta d'aiuto. E non aveva mai provato a tagliargli le palle a quell'animale. Le lacrime erano l'unico modo per sfogarsi. E poi. E poi ricominciava una nuova vita, che poteva durare ore come giorni.
Si sente sbattere la porta d'ingresso. Suo padre se né appena andato in chiesa. C'andava sempre, probabilmente a chiedere scusa a Dio per quello che aveva appena fatto. Chiedeva scusa a Dio e poi a mamma, e poi la picchiava di nuovo, come se ogni volta fosse la prima.
Mary si volta di scatto verso mamma e dice «Devi smetterla di lasciarti trattare così, potresti anche ammazzarlo. Non sarebbe una perdita per nessuno»
«Sì invece. Sarebbe una perdita per tutta la società, e per me prima di tutto. Certa gente nasce per fare soffrire le altre persone, e senza di loro nessuno migliorerebbe. Rimarremmo per sempre degli stupidi ragazzini arroganti» Risponde mamma mentre si alza dal bidet.
«Non c'è vita senza sofferenza»

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